Triage
Triage
Titolo Originale: Triage
Nazione: Francia, Irlanda, Spagna
Anno: 2009
Genere: Drammatico, Thriller
Durata: 96'
Regia: Danis Tanovic
Sito ufficiale:
Cast:: Colin Farrell, Paz Vega, Christopher Lee, Kelly Reilly, Jamie Sives, Branko Djuric, Sandra Ni Bhroin, Juliet Steveon, Reece Ritchie, Nick Dunning, Myia Elliott, Eileen Walsh
Produzione: Parallel Film Productio, Asap Films,
Distribuzione: 01 Distribution
Data di uscita: 27 Novembre 2009 (cinema)
Trailer:
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Due esperti fotoreporter, Mark e David, lavorano nel Kurdistan in guerra. Mark è molto ambizioso e vuole seguire i combattimenti da vicino alla ricerca della foto della sua vita, ma David ne ha abbastanza e molla tutto per ritornare a casa dalla moglie incinta, Diane. Quando anche Mark viene ferito e fa ritorno in Irlanda, rimane sconvolto nell'apprendere che non si hanno notizie di David. Esausto, disorientato, ossessionato da fantasmi di violenza e incapace di ritornare alla sua vecchia vita con Elena, l'uomo peggiora a vista d'occhio. In ospedale, i medici giungono alla conclusione che la sua paralisi è un problema psicologico legato a qualcosa accaduto a David e che Mark non vuole ricordare. A scoprirlo sarà l'anziano nonno di Elena, uno psichiatra esperto in traumi bellici e che si è occupato del recupero dei criminali di guerra dopo la guerra civile spagnola. Alla sceneggiatura ha collaborato il giornalista americano Scott Anderson, autore del libro omonimo.
Triage
I reporter di guerra sono da sempre ottimi peonaggi cinematografici. Attraveo il loro sguardo non coinvolto, ma testimone dei fatti, è possibile mostrare, e indagare, su qualsiasi conflitto e costruire, anche quando il film non è eccezionale, una facile e conclusiva morale il più delle volte riassumibile in la guerra distrugge e fa sempre male, chiunque vi si trovi dentro. Nel 2007 Richard Gere portò a Venezia The Hunting party. Due anni più tardi Triage apre il Festival del cinema di Roma. Regista e autore della sceneggiatura è quel Danis Tanovic che nel 2002 arrivò all'Oscar per il miglior lungometraggio straniero con l'inteo No man's land. All'epoca suo interesse era ripercorrere la guerra tra la sua Bosnia e la Serbia attraveo gli occhi di due militari, uno per fronte. In Triage il progetto è più ambizioso. Protagonista è infatti un fotografo che ha già vissuto il Libano e un'imprecisata belligeranza africana. Ogni luogo è un trauma, ed ha modo di raccontarlo quando torna da una tragica avventura in Kurdistan. E' stato ferito gravemente e il suo caro amico, compagno di tanti viaggi, è scompao senza lasciare tracce. Il rimoo, l'idea di avere una qualche respoabilità sul mancato ritorno del partner, gli impedisce di camminare. Deve parlare con uno psicologo: è a lui che rivelerà tutta la sua storia.
Per quanto siano nobili le intenzioni (la morale è quella che abbiamo già anticipato nella premessa, ma non è una sorpresa, non accusateci di spoiler!), Triage rimane un film statico, impermeabile al coinvolgimento emotivo dello spettatore. Un difetto che ha varie concause. La prima, foe la peggiore, è l'estremo didascalismo con cui si sviluppa la trama. Ogni evento, seazione, incubo o stato d'animo viene raccontato attaveo le parole di chi li vive. Sulla stessa falsariga i dialoghi: quelli tra il protagonista (uno spaesato Colin Farrell) e lo psichiatra Cristopher Lee (nel ruolo di un improbabile ex medico curante delle menti dei cattivi fascisti spagnoli di Franco) si compongono di una serie di luoghi comuni e aforismi da Baci Perugina, che l'unico risultato, per gli spettatori più smaliziati, può essere il rigetto. Le didascalie sia ad inizio film che a fine, non fanno che sottolineare la forte volontà dell'autore di inviare il proprio messaggio in tutti i modi. Nessuno deve rischiare di non avere compreso. Ulteriore limite, anche se è un espediente di sceneggiatura foe necessario per mantenere viva l'attenzione fino alla fine, è la decisione di non mostrare una parte importante dell'esperienza del protagonista durante il conflitto, se non con il flashback finale. Poichè per tutta la durata della pellicola, l'unico punto di vista offertoci è quello del peonaggio principale, vivere con lui il dramma del ritorno senza conoscere ciò che gli è esattamente capitato finisce con l'allontanare la possibilità di un'empatia con il suo malessere.
La frase: In guerra si muore perchè si muore.
Andrea D'Addio
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